Davide e la seconda vita d’un giovane camorrista – Quotidiano di Puglia

Scrittore e fotografo di successo, ma con un passato nella malavita campana, il napoletano Cerullo si racconta nel suo recente libro “L’orrore e la bellezza. Storia di una storia”. È il bilancio di una svolta totale e non facile nato dalle riflessioni nei giorni di lockdown

 

Claudia PRESICCE

«Mia nonna mi raccontava di Dio come di uno che si dimentica le cose, specialmente quelle brutte fatte dagli uomini, e che è un tipo che ride, gioca, e io in braccio a un Dio così potevo dormire tranquillo… Allora, (il Covid, ndr) non è la fine del mondo, non c’è nessun giudizio universale, non c’è Dio dietro questa brutta storia, c’è solo l’uomo che ancora non sa essere umano…».
Comincia da qui, in quei giorni di isolamento forzato del lockdown in cui tutti ci siamo chiesti qualcosa in più di noi, in cui abbiamo guardato le nostre vite più da dentro, il racconto di un uomo che, suo malgrado, ha disperatamente cercato di imparare ad essere umano, dopo aver passato i suoi migliori anni fuori dai giusti binari. Nato nella periferia di Napoli, classe 1974, cresciuto in ambienti in cui la parola “normalità” faceva rima con miseria, violenza e poi droga e malavita, è Davide Cerullo che comincia così a raccontarsi nel libro “L’orrore e la bellezza. Storia di una storia”.
L’uomo ancora non sa essere umano. È la prima riflessione che colpisce di questa sorta di diario di vita di un ragazzo che solo in prigione ha capito che esisteva un’altra possibilità per vivere, un altro mondo e un’altra storia. Ha intuito che la vita propone agli uomini spesso un bivio e non è detto che la scelta che sembrava obbligata fino ad allora sia sempre quella giusta.
Che cosa sia giusto e che cosa non lo sia proprio non lo sa un ragazzino che sceglie la via della delinquenza per sopravvivere alle ingiustizie che vede intorno a sé da sempre, che viene dalla miseria più nera e quindi viene considerato un irrecuperabile (e dunque scomodo alla società) sin dai primi tempi della scuola. Quando tuo padre a soli cinque anni ti obbliga a scannare un piccolo capretto che piange come un bambino mettendoti in mano un coltello e spingendoti le braccia in quel gesto innaturale per farti diventare uomo, da qualche parte dentro cominci a coltivare l’idea che il mondo sia un luogo da cui imparare presto a difendersi. Imparare a mentire e a tradire te stesso troppo presto, ti rende meno vulnerabile, più freddo nei confronti delle cose che fanno male. Ad essere uomini, alla “normalità” della famiglia Cerullo bisognava essere iniziati al più presto, da un padre incomprensibile quanto anaffettivo e imbroglione, violento e traditore anche con la moglie, sotto gli occhi dei figli. Facile per un ragazzino poi trovare fuori casa la voglia di riscatto.
«La strada diventò scuola e io iniziai a sognare le pistole, la fame di ammirazione, il potere, il denaro, le marche, la voglia di essere qualcuno. Dovevo farmi valere, smettere di subire e di sentirmi dire di non essere nessuno…». La facilità a diventare manovalanza per i traffici di droga per quei ragazzini rifiutati da tutti (anche dalla propria famiglia che ad un certo punto, come si usava qualche decennio fa, li chiuse un anno in un istituto per non poterli mantenere) è uno scivolo insaponato. Il rispetto il Cerullo sedicenne lo vuole anche dai carabinieri che lo mettono in galera: perché senza manette? Vuol dire che non vali niente?
Un crescendo verso la disonestà che ripaga con il “rispetto” del violento è quasi scontato.
«Cresciuto nel quartiere della droga, dal fondo di prigione ha trovato il suo nome scritto nella Bibbia: Davide! Ha staccato di nascosto le pagine, le ha lette e da lì è cominciata una persona nuova», scrive Erri De Luca del ragazzo. Con queste parole il poeta riassume l’inizio della seconda vita del giovane camorrista cominciata poco tempo prima di uscire dal carcere per l’ultima volta. Un giorno sulla branda della sua cella di ritorno dall’ora d’aria Cerullo trovò infatti un piccolo Vangelo. Vicino al suo nome “Davide” lesse delle parole che iniziarono a rovistare dentro la sua anima: “Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere” (Atti degli Apostoli 22,24).
Quel giovane che era vissuto “vendendo la morte” agli angoli delle strade di Scampia, accolse la “forza sanificatrice” di quelle parole. Nel libro racconta come si fosse sentito improvvisamente “riammesso all’esame della vita”, ricominciando proprio dalla restituzione del suo nome che quel giorno aveva conquistato un nuovo colore, ed era un colore a lui riconoscibile. La risalita però, per uno che viene da una periferia cariata dalla ruggine della camorra, non è mai facile. La normalità è che uno come lui, uscito di galera, dopo qualche settimana ritorni a gestire lo spaccio alle Vele come aveva fatto prima. Anche perché lo avevano aspettato, il suo “turno” di lavoro per rispetto non era stato coperto da nessun altro. «Era una vergogna poter dire ai miei compagni di sventura che sentivo la strana necessità di prendere le distanze dalla malavita. Non mi ero mai vergognato del male che facevo, ma del bene che volevo cominciare a volermi…».
Una suora, Monica, che non aveva paura di sporcarsi i piedi nel fango e si mise a parlare con lui, e un pittore, Sergio che cominciò a parlargli di Calvino, De Andrè e Che Guevara, diventarono le prime mattonelle su cui poggiare il percorso della nuova vita ancora difficile da seguire. Oggi Davide Cerullo, tornato a vivere a Scampia, ha fondato “L’albero delle storie” associazione di promozione sociale che punta a sviluppare progetti educativi. Scrive e fa il fotografo.