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In StockQuesto lieve e folgorante romanzo è il ritratto in movimento di un’inquieta e raffinata brigata di giovani artisti che, sul finire degli anni Venti, vivono con spregiudicata intensità i loro amori, desideri e turbamenti.
Bernhard, che studia musica e sogna di evadere da una realtà troppo ristretta, ne è il magnetico ma inconsapevole punto focale. Intorno a lui vortica una variegata esistenza corale alimentata da prove tecniche di storie d’amore e complesse dipendenze affettive, da generosi slanci e precarie velleità. Una giovinezza alla ricerca della propria identità, sia sociale che sessuale, e del proprio posto nel mondo, in un rocambolesco susseguirsi di viaggi ed esperimenti di vita tra Parigi, Zurigo, Berlino e Firenze.
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Sull’invidia e la sua cura. C’è una nota che accomuna molte forme di malessere non inevitabile che affliggono la nostra società: l’urgenza di rieducare le nostre passioni e i nostri sentimenti. Una passione da rieducare presto è l’invidia, tra le più devastanti in ogni cultura, molto pericolosa nei tempi di crisi […] La cura dell’invidia è la stima, che però è un bene sempre più scarso nelle nostre società, e quindi sempre più prezioso. La ‘domanda’ di stima cresce, ma non c’è sufficiente ‘offerta’ poiché siamo tutti intenti a cercarla e non abbiamo tempo e risorse per offrirla agli altri che, come noi, la cercano, la desiderano, la agognano […] La stima è faccenda di gratuità, non solo perché non può essere comprata ne venduta, ma perché può solo essere donata liberamente e sinceramente. La sincerità infatti è essenziale: se colui al quale esprimo la mia stima percepisce o pensa che gli sto comunicando la mia stima solo per farlo felice o, magari, per pietà, la gioia della stima vera si tramuta nel suo opposto. L’esigenza di verità prevale sul bisogno di stima […] La stima è un processo, un cammino accidentato e fragile[…]
Molte persone che ci appaiono non meritevoli di stima, in realtà, se fossero viste con gli occhi giusti, rivelerebbero almeno un aspetto di verità, bontà e bellezza che potrebbe diventare una via di accesso alla stima. Ma questi ‘occhi’, questi sguardi profondi nell’anima altrui, sono troppo rari nella nostra società […] Ho avuto il dono di avere per amici alcune persone che hanno stimato delle cose belle in me ancor prima che io stesso mi accorgessi della loro presenza: la loro stima le ha fatte fiorire e maturare. Questa stima profonda ha la capacità di trasformare i ‘non ancora’ in ‘già’. Nelle persone ci sono troppe dimensioni di bellezza, verità e bontà che appassiscono e muoiono perché non trovano occhi capaci di vederle, amarle e farle risorgere. (Luigino Bruni, dal libro “La foresta e l’albero“)
La cultura delle grandi imprese sta occupando il nostro tempo. È da questa constatazione che procede il saggio del noto economista Luigino Bruni. Le categorie, il linguaggio, i valori e le virtù delle multinazionali stanno creando e offrendo una grammatica universale che descrive tutte le storie individuali e collettive ‘vincenti’. Le parole del ‘business’ e le sue virtù stanno diventando le buone parole e le virtù dell’intera vita sociale: nella politica, nella sanità, nella scuola. Merito, efficienza, competizione, leadership, innovazione, sono ormai le uniche parole buone nella nostra società. In mancanza di altri luoghi forti capaci di produrre altra cultura e altri valori, le virtù delle imprese si presentano come le sole da riconoscere e coltivare fin da bambini. Ma le imprese non possono né devono generare tutti i valori sociali o l’intero bene comune. Ieri, oggi, sempre, ci sono virtù essenziali alla buona formazione del carattere delle persone, che vengono prima delle virtù economiche e di quelle dell’impresa.
€10.00Anno : 2016Autore : Luigino Bruni
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€12.00€5.90-51%Autore : Christian Bobin
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“È difficile nel vocìo della nostra “civiltà” che prova orrore per il vuoto e il silenzio ascoltare la breve frase che, da sola, può far vacillare una vita: “Dove corri?”” La brevissima e celebre frase di Silesius, posta a titolo del libro, è forse quella più ignorata, perché tenue, quasi incerta filtra tra le pieghe delle nostre affannate quotidianità. È illusoria, ingannevole, ma appare spesso più sbrigativa la via della fuga. “Dove corri?”, ripete nel segreto, nell’intimo la piccola voce. E se provassimo a fermarci o cambiassimo, non potrebbe rivelarsi allora l’inatteso, l’insospettato? Ciò andiamo cercando all’esterno, attende di nascere in no
€13.00Autore : Christiane Singer
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Versione Standard
Quasi fosse una rabdomante della parola, Mariangela Gualtieri oltrepassa la sembianza razionale delle cose e i confini della psiche individuale, in un abbandono vigile e teso a cogliere l’essenza di stati d’animo e corrispondenze col mondo. E dalla capacità di osservazione stupita del mondo, unita a quella di ascolto delle risonanze interiori, nascono le sue poesie che conducono il lettore nel territorio ibrido che sta tra infanzia e crudeltà, bellezza e dolore.
€14.00Autore : Mariangela Gualtieri
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Christian BobinVersione Standard
SOLITUDINE: DESERTO O GIARDINO? AUTORI VARI TRA CUI: ENZO BIANCHI, CHRISTIAN BOBIN, XAVIER LACROIX…
L’amare è, per lungo spazio e ampio fino entro il cuore della vita, solitudine, più intensa e approfondita solitudine per colui che ama”. Così scrive Rilke, perché la solitudine non esclude l’amore, anzi permette a questo di costruirsi in verità, oltre un possibile culto dell’amore, oltre l’illusione che la relazione con l’altro possa dispensarci dal renderci consapevoli di noi stessi. I testi qui raccolti trattano da vari punti di vista di questo essenziale esercizio spirituale, e possono offrire spunti affinché nel quotidiano e anche faticoso assumere la propria solitudine, con le sue ambivalenze, impariamo ad aprirci a tutte le dimensioni dell’amore, arrivando a coniugare amore e libertà.
Edizioni Qiqajon (Comunità di Bose)
ALCUNI ESTRATTI
Marie de Solemne: Preferirebbe parlare della solitudine come di una grazia o di una maledizione?
Christian Bobin: Innanzitutto ne parlerei piuttosto nella sua materialità. Prima di essere uno stato mentale o affettivo, la solitudine è una materia. Per esempio è proprio la materia che ho sotto gli occhi in questo momento. Sono le dieci di sera, è buio. Il cielo non è ancora completamente scuro, c’è silenzio. Anche il silenzio è molto materiale – un piccolo appartamento nel quale vivo da una quindicina d’anni, qualche sigaretta – che non riesco a impedirmi di fumare -, qualche libro – che non riesco a impedirmi di aprire -. In fondo, curiosamente, la solitudine si popola molto in fretta. La solitudine è anzitutto questo: uno stato materiale. Che nessuno venga. Che nessuno venga là dove uno è. Forse, nemmeno se stesso. Ma, per rispondere alla sua domanda, la solitudine è più una grazia che una maledizione. Nonostante molti la vivano diversamente. Succede alla solitudine come alla follia: ci sono due follie, come ci sono due solitudini. C’è una follia subita… subita da chi la vive. Questa non è invidiabile ne felice. E’ nera e basta. Nient’altro che nera, pesante. Così, c’è una solitudine cattiva. una solitudine d’abbandono, in cui uno si scropre abbandonato… magari da sempre. Questa solitudine non è quella di cui parlo nei miei libri. non è quella che io abito, e non è in essa che mi piace entrare, anche se, come a chiunque, mi è capitato di conoscerla. E’ l’altra la solitudine che frequento, ed è di quest’altra che parlo, quasi da innamorato.
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Se vogliamo trasmettere qualcosa in questa vita, è possibile con la presenza, molto più che con la lingua e la parola. La parola deve sopraggiungere in certi momenti, ma quello che istruisce, che dona è la presenza. E’ lei che silenziosamente agisce. Per esempio, un innamorato non potrà convincermi delle grazie e delle virtù della sua amata. In compenso, quello che può fare è di essere talmente pervaso, talmente portato da quell’amore, che delle onde si trasmettono da lui a me e provocano uno stupore, poi una sorta di gioia trasmessa indirettamente e allora, forse, il desiderio di amare a mia volta. Credo che uno sia contagioso di per sé. E’ la stessa cosa che avverto anche nei libri. I libri trasmettono la persona che li ha scritti. Trasmettono il suo respiro. (CHRISTIAN BOBIN)
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Per la prima volta Mariangela Gualtieri ha scritto una raccolta poetica fortemente strutturata, con un ritmo meno magmatico delle precedenti, scandito da sezioni che articolano il libro alternando temi e toni diversi, in particolare il canto gioioso, quasi francescano, della natura e la riflessione sulle cose umane, sullo strappo del tempo, sul momento finale, più misterioso che triste, che trasforma il niente in “un niente più grande”. In realtà le cinque sezioni del libro, se danno una sensazione di maggiore classicità (come i cinque atti del teatro antico), sono legatissime fra loro, in parte concatenate, in parte attraversate da fili addirittura lessicali, e proseguono fedelmente il discorso poetico dell’autrice, sempre fortemente ispirato. Non mancano dunque scissioni interiori, proliferare di voci profonde e laceranti, come nelle raccolte passate, ma la prospettiva trascendente è perlopiù proiettata all’esterno, su un albero, sull’aria che sta fra i corpi, sul silenzio che lega le cose. E questa prospettiva, in misura ancora maggiore che in “Senza polvere senza peso”, traccia un percorso di felicità istintivo e infuocato, ma nello stesso tempo pacificante. Anche a livello metrico il libro mostra un rapporto più pacato con la tradizione, con una forte disseminazione di endecasillabi e altri versi regolari, senza perdere il senso più profondo dell’originaria aggressività.
€12.50Autore : Mariangela Gualtieri
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