È a queste tavole che mangio meglio – Christian Bobin – Autoritratto al radiatore

C’è una letteratura sontuosa, sovraccarica d’oro e di autocompiacimento. Essa considera la scrittura superiore alla vita. Non conosce niente di più nobile di una bella frase. Ha senza dubbio generato dei capolavori, e mi lascia, tuttavia, indifferente. È un’altra letteratura quella di cui io ho fame. Essa è antica quanto la prima. Non implica meno lavoro, ma non cerca la stessa cosa. O piuttosto: c’è una scrittura che cerca, non trova che per caso o per grazia, e continua a cercare. E c’è una scrittura che si rigira davanti allo specchio, una sposa che prova il suo abito. Questa non cerca niente. Non ha niente da cercare, avendo trovato da sempre chi sposare: se stessa. La sua bellezza non m’impressiona. Non ammiro un’opera perché mi si dice di ammirarla, ma per la forza dell’amore che vibra in essa. Ciò che qui intendo per amore non ha nulla di sentimentale. Il solo amore reale è di una durezza incredibile. È la parola: incredibile. Il poeta Henri Pichette dice che non si dovrebbe mai scrivere una sola frase che non si possa sussurrare all’orecchio di un agonizzante. Ebbene, è esattamente questo. La scrittura che amo, è esattamente questa. E noi siamo tutti degli agonizzanti, non è vero? Dove mi conducono tali riflessioni? A niente, a niente. Non è grave: un piccolo accesso febbrile. Quello che ho detto lo posso dire in un altro modo: c’è una parola dei principi e una parola dei mendicanti. Quella dei principi è come una camera in cui non c’è nulla e in cui al tempo stesso tutto è pieno, riempito sino all’orlo. È una parola così sorda da bastare a se stessa. Quella dei mendicanti, al contrario, racchiude in sé abbastanza vuoto – spazio, silenzio – perché il primo venuto vi si possa intrufolare e scoprire la gioia. È una parola che lascia in sé un posto per l’altro, che rende possibile la venuta di qualcos’altro. La conoscete la vecchia tradizione di disporre sulla tavola un piatto in più per un ospite inatteso, straniero. Sono queste le parole che amo. È a queste tavole che mangio meglio.

 

– Autoritratto al radiatore –
(Gallimard Paris 1997 – AnimaMundi Edizioni 2012)
 
 
Venti anni fa esatti Bobin scriveva “Autoritratto al radiatore”. L’autore inizia a scriverlo nell’aprile del 1996 e ne conclude la scrittura a Marzo dell’anno successivo. Un anno di annotazioni quasi quotidiane, una sorta di diario, in cui “non troviamo come ci si attenderebbe da questo genere letterario, la narrazione della vita dell’autore, ma spesso la descrizione delle cose che vivono attorno a lui e che, con il loro incontro lo fanno esistere come scrittore”. Nonostante il tempo trascorso, Autoritratto resta un libro che continua a far vibrare l’anima, continua a parlare al cuore. Una stella che attraversa il campo della letteratura emanando con il suo passaggio quell’incandescente forza che riesce ad avere solo la poesia, l’autentica scrittura.
 
AnimaMundi vuol rendere omaggio a questo splendido libro e all’autore, attraverso una promozione del libro scontato a 7,90 (anziché 12) e publicando in rete ogni giorno un frammento tratto dal libro per tutto il mese di Aprile.