“Posso rispondere soltanto alla presenza di me stesso” di Christian Bobin

Ancora lettere oggi, tutti i tipi di frasi, mescolate alle tue. A volte rispondo a volte no. E’ come il telefono, suona lo guardo suonare. Ci sono giorni in cui non sono nel mio nome, nel mio sangue, nei miei occhi. Lascio che le lettere parlino, che il telefono strilli. È una questione di buonsenso. Posso rispondere soltanto alla presenza di me stesso. Non c’è nient’altro da fare quando non ci sono, quando la mano dell’angelo è sulla mia bocca.

– La vita e nient’altro (AnimaMundi Edizioni)

 

Commento di AnimaMundi:

Quanta profonda intelligenza in queste semplici parole. Sembra nulla invece è tanto. Che bel modo di accogliere l’anima e permetterle di non-fare. La nostra cultura teme il non-fare, è nemica dell’inefficienza. E proprio in questo modo si condanna a essere sempre più inefficiente e sterile nel profondo. Efficiente (o frenetica) in superficie, disfunzionale nel profondo. In questo modo tagliamo le nostre radici con l’anima, nella quale possiamo rinnovarci profondamente, acquisire visioni nuove, conoscere la direzione da dare ai nostri passi. È importante imparare a riconoscere quando non ci siamo, quando in noi l’anima è offuscata o assente e concederci di sentire, di abitare quel tempo dell’assenza, senza precipitarci immediatamente nel fare, nel relazionarsi, nel cercare infiniti modi di evadere. Di solito se accettiamo di attraversare le nostre assenze, quasi sempre come per miracolo una rinnovata energia giunge a sollevarci, a ispirarci, a guidarci. Ciò che sorge quindi da una temporanea chiusura agli altri e al mondo accolta è il dono della nostra presenza, del tornare abitati. Un dono grande che facciamo a noi stessi e per riflesso a chi ci sta vicino. 

 

 

Commento di una lettrice:

E’ un angelo a chiudere le sue labbra, e perciò si tratta di un silenzio sacro, che apre a un ascolto sovrasensibile. L’ angelo porta il messaggio dell’io più autentico, è la forma incorporea perfetta di ogni singolo essere individuale.  Qui si parla non di assenza ma di una presenza ‘altra’ capace di astrarre dal mondo orizzontale della comunicazione mondana, di cancellare momentaneamente l’identità sociale, di sospenderla per rinnovarla a un livello più alto. Bobin distingue, lo chiama buonsenso,  tra due chiamate, quella che arriva dall’esterno e quella che irrompe dal profondo e sa metterle al loro posto nella scala dei valori. La dispersione nevrotica nel molteplice non gli appartiene, non ha sensi di colpa, semplicemente sa che non è il momento, che è impegnato altrove, nel faccia a faccia con se stesso.

Carla